SAN GODENZO – Nonostante le avversità climatiche e le disposizioni sanitarie che ormai condizionano la nostra vita, erano in molti sabato 10 ottobre a Castagno d’Andrea per assistere alla presentazione del libro di Giuseppe Bugli dal titolo “A tavola ‘un s’invecchia”. Una carrellata di 85 ricette di cucina toscana e mugellana che l’autore ripropone in maniera personale con varianti che spesso le rendono uniche e irresistibili.

“Sangodenzino” di nascita e “castagnino” di adozione, l’autore si descrive nella sua straordinaria passione per l’arte culinaria, frutto di una lunga esperienza, di consigli, di aneddoti che rendono “appetitosa” e gradevole la lettura. Quello che Giuseppe ci racconta nel suo libro non appartiene unicamente ai segreti della sua cucina, alle alchimie che adotta nella preparazione di pietanza succulente, ma costituisce un vero e proprio inno ai valori autentici della vita, alla famiglia prima di tutto, all’amicizia, alla natura, alla storia locale.

Lo si percepisce immediatamente appena si inizia a leggere l’introduzione, quando racconta il periodo allegro della sua infanzia, le marachelle commesse con le relative punizioni, le avventure nelle battute di pesca e i momenti di svago con gli amici, la raccolta dei funghi e le relative canzonature con gli altri cercatori. E poi l’amore per la famiglia, per i genitori, la moglie, i figli, qualcosa che traspare da ogni parola, da ogni pensiero, dai sentimenti genuini che Giuseppe ci trasmette con parole semplici ma di grande efficacia emotiva.

Questo taglio letterario, queste belle emozioni, non appartengono solo alla parte introduttiva del libro ma le ritroviamo anche in molte ricette secondo un metodo raffinato e ingegnoso con il quale Giuseppe ha saputo unire la sua passione per la cucina, ai ricordi, alle riflessioni, ai momenti particolari e felici della sua vita.

Venendo all’aspetto un po’ più leggero e meno impegnativo del libro, dobbiamo convenire che il gustare le pietanze e apprezzarne i sapori e i profumi del cibo, rappresenta uno dei privilegi, una della cose più belle che la natura ed il buon Dio ci hanno regalato per la nostra presenza terrena, senza dimenticare che il sedersi a tavola è sinonimo di condivisione e di amicizia, che spesso proprio a tavola diventa contagiosa.

Il libro di Giuseppe, fra le altre cose dunque, ha anche il pregio e la funzione di essere una guida, uno stimolo a rafforzare e mantenere il legami con gli altri, sia che ci si sieda accanto ai familiari o agli amici. Una cucina forse poco adatta a chi fa la dieta o chi è alla ricerca ossessiva della linea ma un vero e proprio inno alle cose buone, alle cose gustose e prelibate, piatti che esaltano e conservano le tradizioni della nostra terra e in particolare ricordano il mondo genuino della cucina rurale, quella ricca di sapori unici che si sono interrotti all’inizio della nostra adolescenza e non si sono più ripresentati, quei sapori che appare difficile riconoscere nella cucina dei nostri tempi.

La cucina di Giuseppe fa uso di materiali ricchi e importanti ma anche di cose povere in apparenza, cose che sono disponibili in natura, spesso poco conosciute e quindi poco apprezzate. Basti pensare ad esempio alla bistecca alla Fiorentina e al lesso con le cipolle o alla frittata di prugnoli e a quella con i vitalbini.

Per ogni ricetta si potrebbe fare una piccola conferenza, ripercorrere la storia, le origini di ciascun piatto, il ruolo ad esempio assegnato alle varie pietanze nell’economia familiare delle generazioni passate, con alcune destinate esclusivamente ai giorni di festa ed altre impiegate quotidianamente, ai piatti tipici dell’era mezzadrile cucinati per le faccende “grosse”; pensiamo ad esempio ai pranzi della trebbiatura o della vendemmia, occasioni uniche nell’arco dell’anno, quasi ricorrenze sacre, dove il cibo assumeva significati particolari e di buon auspicio per il raccolto che avrebbe determinato la consistenza alimentare fino all’anno successivo.

Se è vero dunque che siamo ciò che mangiamo, seguendo i menù di Giuseppe Bugli forse non saremo certo più belli, perché non si può cambiare quello che la natura ha deciso per il nostro aspetto estetico ma saremo sicuramente più sani e soprattutto soddisfatti e felici di quello che mangiamo.

Difficile assegnare preferenze o eleggere classifiche in un elenco di pietanze dalla bontà unica e imbarazzante, tutte sicuramente da provare, consigliare e soprattutto da apprezzare. Alcune si distinguono per la particolarità degli ingredienti, altre per l’originalità e la simpatia con cui vengono descritte. A tal proposito ne riportiamo almeno una, così come Giuseppe l’ha descritta sul suo libro:

PECORA O CINGHIALE IN TEGOLA O ALLA POMPIERE

Questa è una ricetta che può essere inserita anche tra quelle “internazionali”, dato che l’amico che me l’ha ceduta, Stefano Affortunati (in arte “Pompiere”), l’ha assaggiata e poi cucinata in Grecia. Il pompiere fa parte dell’allegra brigata dei “Cignalotti”, dove ho potuto esprimere le mie inimitabili capacità balistiche. Negli ultimi tempi i “Cignalotti” si sono uniti con la squadra dei “Solenghi”del mitico padellone “Pelone”. Di fronte a questo connubio viene spontaneo esclamare: “Padelloni di tutto il mondo unitevi!”

Tornando alla ricetta, penso che sia il caso che la trascriva così come l’amico Stefano me l’ha passata, lasciando a voi la scelta per il tipo di carne e le rispettive dosi.

“Prendere due tegole a coppo, mettere della carta stagnola o carta da forno, quindi fare un letto di patate tagliate non fini, cipolla tagliata più fine, 2-3 spicchi d’aglio, 3-4 pezzetti di limone senza buccia. Fatto questo, ci adagiamo sopra la pecora o il cinghiale fatti a pezzi, quindi mettiamo un pizzico di sale e aromi
tritati, timo, salvia, rosmarino, origano e per ultimo un filo d’olio. Ricopriamo il tutto con patate, cipolla, aglio e limone, come fatto per la base. Richiudiamo a cartoccio con carta da forno e stagnola mettendo poi sopra l’altro coppo , fermandolo con del fil di ferro. Coprire con cenere, carbone, alimentandolo sopra con fuoco dolce per circa quattro ore, facendo attenzione a non fare troppa fiamma. In alternativa si può cuocere in forno normale a 180 gradi.”

Gustata l’ennesima ricetta e chiusa infine l’ultima pagina di questo splendido scrigno di bontà, non possiamo che rallegrarci per un nuovo lavoro che arricchisce il mosaico di pubblicazioni a carattere locale, dove la cucina appare spesso poco rappresentata, nonostante costituisca il fiore all’occhiello del nostro costume e delle nostre tradizioni. Doveroso quindi l’augurio di un lungo e duraturo successo letterario, visto che fra le iniziative e i lodevoli progetti dell’autore c’è anche quello di devolvere in beneficenza parte del ricavato delle vendite.

Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 18 ottobre 2020

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