MUGELLO – E’ in corso, nell’area mugellana, un Progetto di Filiera, denominato “Buonacarne”, proposto da CAICT srl – il Centro Assistenza Imprese di Coldiretti Toscana, che coinvolge una ventina di imprese agricole, oltre a vari enti e Università. Un progetto che si prefigge di supportare le imprese di bovini da carne del Mugello con informazioni e strumenti per promuovere la valorizzazione delle produzioni attraverso l’aggregazione e la filiera corta con l’obiettivo di soddisfare le esigenze di mercato tutelando anche il benessere degli animali. “Il Filo” pubblicherà una serie di articoli, con l’intervento di esperti ed allevatori, per illustrare nel dettaglio questo importante progetto.

Lo stress termico è un fattore importante da considerare per garantire il benessere degli animali. E da qualche tempo studi e ricerche non solo lo stanno attestando con chiarezza, ma sono la base per interventi tecnici mirati a ridurre lo stress.

Non a caso anche nel Piano Integrato di Filiera “Buonacarne”, che vede il Mugello protagonista, con la partecipazione di stalle mugellane e con la Cooperativa Agricola di Firenzuola come capofila, si prevedono fasi di sperimentazione e installazioni di apparecchiature su questo fronte.

Prof. Riccardo Bozzi“In due aziende zootecniche mugellane – spiega il prof. Riccardo Bozzi, docente di Nutrizione e Genetica animale alla Facoltà di Agraria dell’Università di Firenze -, stiamo monitorando il comportamento degli animali in una zona ventilata e in una non ventilata, in stalle per la produzione di carne. Finora si pensava che lo stress termico fosse un problema soprattutto per i bovini utilizzati nella produzione di latte. Ma è chiaro che anche animali chiusi nella stalla per l’ingrasso, in spazi comunque ristretti, soffrono per il caldo. E un animale che ha caldo consuma energia per difendersi, ansima, suda. Un’energia che non viene indirizzata alla crescita, alla produzione. Si tenga inoltre presente che un animale da allevamento non ha le medesime condizioni di risposta termica rispetto a un essere umano: ha una soglia termica più bassa, e sta bene intorno ai 12 gradi di temperatura. Quelle che in una stalla a noi sembrano condizioni ottimali, per un bovino sono già causa di stress termico.”

Ed ecco allora la soluzione pratica, l’installazione di sistemi di ventilazione. “E’ ormai un’innovazione tecnologica sempre più diffusa -nota il prof. Bozzi-. Certamente il ventilatore non va usato sempre, ma abbiamo ora sistemi che si attivano in base a un indice termico, una formula matematica che deriva dalla combinazione tra temperatura presente in stalla e l’umidità. Perché anche l’umidità è un fattore importante: in ambienti molto umidi gli animali hanno difficoltà a scambiare calore, a sudare”.

E la ricerca in corso ha per obiettivo proprio quello di stabilire i giusti livelli per l’avvio dei ventilatori. “L’esperimento purtroppo – nota il docente – è stato complicato dal Covid, e quindi dobbiamo ancora concludere il ciclo di controlli. Le differenze sicuramente ci sono, ma non abbiamo riscontrato grandi differenze tra zona ventilata e zona non ventilata, e pensiamo quindi che occorra far partire i ventilatori a un valore ancora più basso”.

Ci sono stati comunque anche riscontri empirici: “Gli allevatori hanno constatato – nota Bozzi – che mentre negli anni precedenti vedevano gli animali fermi e con la lingua di fuori, stavolta, con i ventilatori, questo comportamento non è mai stato osservato. Ora con l’arrivo della stagione calda proveremo ad abbassare la soglia di avvio della ventilazione, per verificare se gli esiti sono ancora migliori. E al termine dovremo anche confrontare i pesi degli animali per capire se questo stato di benessere legato alle temperature ha migliorato la produzione”.

Si stanno inoltre ipotizzando anche altri accorgimenti: “Finora non lo abbiamo attivato, ma si potrebbe aggiungere alla ventilazione un sistemi di raffrescamento con l’acqua nebulizzata. Come già si usa nelle stalle da latte. Prima di attuarlo occorre fare però alcune valutazioni: i costi, il consumo di acqua e, cosa più rilevante, tener conto dell’effetto dell’acqua nebulizzata sul livello di umidità dell’ambiente. Nei bovini da carne, che hanno la lettiera permanente, pulita cioè non tutti i giorni, questo potrebbe determinare un ristagno d’acqua, con conseguenze nocive piuttosto che vantaggiose”.

Altro elemento in corso di studio è il punto di misurazione delle temperature: “Vogliamo capire – prosegue il docente universitario – se l’indice è diverso in base a dove viene misurato. Perché un conto è considerarlo all’altezza del muso dell’animale, un conto invece a terra. Non dimentichiamoci che stiamo parlando di ruminanti e quando ruminano stanno sdraiati. Sono animali che vivono a lungo pancia a terra, se si considera il tempo del riposo e quello del ruminare, che dura in media otto ore al giorno”.

I benefici della ventilazione sono comunque già attestati, e un obiettivo del PIF è quello di favorirne la diffusione: “Negli allevamenti da latte – conclude il prof. Bozzi – è più diffuso, in quelli da carne siamo ancora agli inizi: e per questo il progetto prevede anche visite in azienda con gli allevatori per mostrare l’innovazione e divulgarla. Del resto si tratta di un sistema di impatto economico non elevato, e che si adatta bene anche in strutture di stalle non moderne”.

© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 9 Giugno 2021

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