MUGELLO – Oggi voglio parlare di due piatti unici della nostra italica cucina. Il primo sono i famosissimi e amatissimi tortelli mugellani con il loro ripieno e preparazione particolare che è come un rito. L’ho visto praticare fin da bambino dai miei nonni, dalla mamma e poi adesso anche da mia moglie, poiché sono stato tra i pochi fortunati a incontrare a suo tempo una delle sparute ragazze rimaste al mondo che li sanno fare con amore.

Non vi mettete a contarle, dico sparute tanto per dire, visto che siamo alla presenza dell’ennesima “cultura”, questa volta culinaria, che rischia di scomparire per sempre. Immaginate le mie difficoltà a mantenere dopo sposato la pancia in dimensioni ragionevoli, è stato un vero patire e anche lo specchio lo potrà confermare. Il tortello in questione nella sua versione “pura” può essere agevolmente ricondotto alla cucina povera della tradizione contadina presente fin dall’Ottocento in una zona marginale rispetto al Mugello, ovvero le zone appenniniche ricomprese (tanto per capire) nei due crinali tra Bagno di Romagna, Palazzuolo, Stia e Ronta; fu proprio da lì che si propagò in giro via via che le comari dai poderi di montagna si spostarono con la famiglia nei casolari più comodi verso il fondovalle. Questo dicono le mie ricerche, ma chiunque mi può contraddire se non è d’accordo; per questa volta non mi offendo, però per favore lasciate stare le varianti bislacche di tortello che ci sono in giro, quelle non m’interessano proprio. Passiamo ora al secondo piatto, i beccafichi.

Fin dall’Ottocento erano consumati dai nobili siciliani questi poveri uccelletti preparati in un modo particolare che vi risparmio ma, essendo considerati un piatto di lusso, il popolo virò verso le famose “sarde a beccafico”, cucinando nello stesso modo un ingrediente più facilmente disponibile. A questo punto sono certo che vi chiederete, ma cosa hanno in comune questi due piatti apparentemente lontanissimi tra loro. Prima di tutto la longevità poiché entrambi piatti famosi già nel XV secolo e poi la provenienza, essendo in uso nella primitiva Toscana medicea, e mi dispiace davvero tanto per i siciliani. La notizia, per certi aspetti davvero sorprendente, emerge esaminando il copioso carteggio intercorso tra Lorenzo il Magnifico e il suo amico poeta Luigi Pulci il quale, nel marzo 1466, scriveva a Lorenzo: “… e ricordarti di poi i mille torti ci fai in Mugello, per questa Pasqua serbarci dopo la parte nostra de’ tortelli…”.

Ma come, direte voi, o le patate non vennero in Europa solo nel Cinquecento e si cominciò a usarle nel XVIII secolo? Verissimo, ma qui in Mugello già si facevano da secoli i tortelli con un identico modo di preparare una sfoglia sottile per poi tagliarla in rettangolini e farcirla. Con cosa? Allora si usavano gli avanzi del giorno precedente come verdure, formaggi, carne o anche ingredienti dolci; il tutto veniva poi fritto o bollito. La preparazione, se non gli ingredienti, era dunque in sostanza identica a quella degli attuali tortelli di patate.

In un’altra lettera dell’agosto 1468, sempre del Pulci e sempre indirizzata al Magnifico, il poeta scrisse che non vedeva l’ora di tornare alla sua Cavallina per poi “…recarsi a Pettoriccio dove tender le reti a beccafichi” considerati da tutta la corte di Lorenzo uccelletti canori dalla carne deliziosa, vera prelibatezza da tavola signorile catturati anche nelle “ragnaie” intorno alla villa di Cafaggiolo. Insomma, in Mugello erano pietanza di lunga tradizione, e si sapeva della loro bontà già da alcuni secoli, tanto che qualcuno mi ha giurato di aver sentito il Magnifico in persona sussurrare agli artisti della sua corte questo verso poetico: “Al siciliano non devi far sapere quant’è buono il beccafico con le pere!”. Ma, evidentemente, qualcuno in seguito “cantò”, e non si trattava di sicuro del povero beccafico. 

Fabrizio Scheggi
notizie tratte dal libro “I segreti del Mugello Mediceo
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – aprile 2023

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