MUGELLO – Tradizione, mi raccomando. Salvo accidenti, il Natale si passa in casa, si va a messa e si pranza senza ricorrere alla cucina francese.

“Fino a Natale né freddo né fame” dice un vecchio proverbio. Ecco, attenersi alla saggezza popolare per una volta. Tavola imbandita, piatti ricchi. S’intende che il giorno che precede la festa è vigilia nera. Magari pesce, meglio cavolo nero e polenta, carne giammai, tanto il 25 ti puoi sbizzarrire.

Di norma, sulla tavola apparecchiata con gusto – almeno doppie posate, doppi bicchieri, decori in rosso, pungitopo, vietate bottiglie di plastica – calano in apertura crostini sui fegatini seguiti da cappelletti (o tortellini) in brodo, a loro volta propedeutici al cappone bollito con contorno di cipolline in agrodolce, sott’oli, purè (mia nonna lo chiamava “mascé”). In aggiunta, un secondo primo, meglio se condito con sugo di carne: tagliatelle fatte in case, lasagne, ravioli. Dopo il cappone, non può mancare agnello arrosto con patate e insalata. Se vuoi eccedere, arrosto misto: arista, conigliolo (in Mugello si chiama così). E sei al dolce, e qui paese che vai usanza che trovi. Panettone, pandoro e panforte sono il filo che ti unisce al resto d’Italia assieme a spumante e vin santo. Non basta. A fine pranzo piovono sul tavolo pesche ripiene, pasticceria varia, ciambelloni guarniti di cioccolato o di crema, zuccherini. Chiude il caffè con amaro e grappa. Dimenticavo: il vino. Rispetto a un tempo non tropo lontano, il vino mugellano si può bere, e non parlo solo del rosso della Val di Sieve. Ce ne sono di genuini anche nel basso Mugello. Provarli.

La dieta domani. Tanto lo dici sempre ma poi te ne dimentichi.

Riccardo Nencini

© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 15 dicembre 2019

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