MUGELLO – La comunità dei Servi di Maria di Monte Senario da secoli ha sviluppato una produzione di rimedi naturali e medicinali per la cura delle diverse malattie e infermità, secondo la più genuina tradizione monastica. La farmacia del convento è stata attiva per lungo tempo a beneficio della popolazione locale e dei pellegrini che visitavano il luogo sacro. Un frate, lo speziale (o speziere) del convento, aveva il compito di produrre medicamenti e rimedi naturali secondo le antiche ricette. Tra le diverse figure che nel passato ricoprirono questo delicato ufficio si segnala fra Manetto Ferri (1579-1620), che già prima di farsi eremita sul Senario aveva esercitato la professione di farmacista in città, a Firenze. Di lui dicono le antiche cronache del convento: «circa la cura degli infermi, nella quale molto tempo stette occupato, fu sempre vigilantissimo e con industria cercava di imparare dall’arte sua dello speziale per meglio a quelli poter satisfare e consolare e non solamente a’ suoi fratelli eremiti, ma ancora a molti poverini che alla porta venivano non risparmiando fatica di andarli a curare alle case» (ACMS, Azioni esemplari d’alcuni nostri padri e fratelli eremiti).

La Gemma d’Abeto, il più noto tra i quattro liquori prodotti a Monte Senario

Un’antica tradizione perpetuata in epoca moderna
Nella metà dell’Ottocento la produzione farmaceutica conobbe una svolta. Era quella un’epoca in cui a Monte Senario si stava reinventando faticosamente un’economia che potesse sostenere le ingenti spese di conservazione del complesso conventuale, venendo meno i cospicui finanziamenti granducali del passato. Il frate amministratore dei beni rurali si prodigava per applicare le più moderne tecniche selvicolturali nella gestione dell’abetina, mentre nel 1846 fu terminata la costruzione della monumentale Ghiacciaia. Prese così vita la “fabbrica del ghiaccio”, prodotto raro e prezioso in un’epoca nella quale i frigoriferi non erano ancora stati inventati. Il ghiaccio del Senario, che serviva per la conservazione dei cibi e per confezionare gustosi gelati, veniva commercializzato in città durante le torridi estati fiorentine dopo una lunga produzione invernale e un trasporto notturno assai laborioso.
Ma il successo maggiore lo ebbero i prodotti della farmacia conventuale. Grazie alla passione di capaci frati, nacque la produzione di liquori che furono da subito apprezzati: insieme ai medicamenti, venivano offerti dallo sportellino che ancora oggi si vede a destra del loggiato di ingresso alla chiesa, che metteva in comunicazione l’esterno con il locale adibito a farmacia, allora sotto stretta clausura. Infatti, superata non senza difficoltà l’epoca delle soppressioni, l’incremento numerico dei visitatori in questo come in altri luoghi sacri lontani dal rumore della città, suggerì lo sviluppo di una nuova forma di sussistenza rivolta a un pubblico più ampio: la “nuova farmacia” per la vendita dei liquori, ubicata a piano terra sulla destra della monumentale scalinata del convento, fu inaugurata nel 1907, mentre i locali dell’ampia distilleria erano già stati da tempo allestiti negli scantinati del grande complesso conventuale, dove ancora si trovano. Dal 1925 la farmacia fu trasformata in bar-ristoro, completamente rinnovato nel 2009. Nel frattempo, progredendo le conoscenze della medicina, non si parlava più di un articolo di farmacia, ma di un gustoso liquore (da bersi con moderazione!), prodotto dalla “fabbrica di liquori” dei frati.

Immagini della produzione tratte dal depliant illustrativo della distilleria di Monte Senario (foto di Matteo Nannelli)

I liquori dei frati del Senario
Ma quali sono questi liquori ancora oggi prodotti artigianalmente sul Monte Senario?
La Gemma d’Abeto venne ideata nel 1865 dallo speziale Agostino Martini (1824-1897), frate mugellano, originario di Sant’Agata. Si tratta di un liquore dolce, composto da diciassette ingredienti fra spezie ed erbe officinali che concorrono a formare il gusto dell’essenza, dove domina l’intenso profumo balsamico sprigionato dal seme dell’abete bianco che cresce vigoroso sul Senario. Il bel colore giallo glielo conferisce lo zafferano naturale. Pluridecorata (Esposizioni di Londra 1902, Parigi 1903, Milano 1906), la Gemma d’Abeto è conosciuta in molti parti del mondo. I Servi e le Serve di Maria chiamano affettuosamente la Gemma d’Abeto lo “Spirito dell’Ordine”.
L’Amaro Borghini deve il suo nome all’ideatore, essendo stato brevettato nel 1870 da fra Stanislao Borghini (1833-1901), originario di Azzano, in provincia di Pistoia. È stato prodotto fino al 1986 anche nel convento di Viareggio, dove fra Stanislao fu per lungo tempo parroco. Tonico-stomatico e di gusto molto forte, l’amaro prodotto a Monte Senario è un digestivo ricercato per la totale assenza di zucchero nella sua composizione.
Infine l’Elisir di China e l’Alkermes sono prodotti sul Senario a partire dal 1889, grazie alla bravura dello speziale fra Pietro Berni (1865-1944), originario di Sestino di Borgo San Sepolcro, in provincia di Perugia. L’Elisir è un liquore tonico la cui ricetta è molto apprezzata per il singolare equilibrio nel gusto delle essenze, mentre l’Alkermes può essere consumato al bicchierino oppure utilizzato nella preparazione di molti dolci tipici fiorentini, tra i quali eccelle la zuppa inglese.

Premio alla Gemma d’Abeto conferito dalla Accademia Italiana della Cucina

Vi sveliamo dove vengono prodotti la Gemma d’Abeto e gli altri liquori
Si racconta una storiella tra i frati a Monte Senario. Alcuni anni or sono, un sabato pomeriggio d’autunno, una coppia di fiorentini stava salendo in macchina verso Monte Senario, quando sulle ultime curve vide un uomo abbastanza in là con gli anni che stava ripulendo una fossetta della strada, confinate con l’abetina. Il marito soffermò un po’ l’auto, abbassò il finestrino, e disse all’uomo intento nel suo lavoro: “non son lavori da persona della sua età, li faccia fare ai frati!”. Rispose il vecchietto: “buon uomo, ha proprio ragione!”, e accennò a una risatina. Giunti al santuario, i due coniugi si recarono in chiesa per partecipare alla messa. Suonò il campanello e videro sbucare dalla sacrestia l’arzillo vecchietto, adesso rivestito con la casula, che intonò una bella Ave Maria per dare inizio alla celebrazione, rivolgendo ai due un bel sorriso di soddisfazione. Si trattava di fra Ermenegildo Maria Biagini, benemerito curatore dei boschi per lunghi anni.
Ma come sappiamo, la storia si ripete. La primavera scorsa, in una calma giornata infrasettimanale, giunse al bar di Monte Senario un distinto signore che chiese un “Gemmino”, il classico bicchierino di Gemma d’Abeto. Quindi si mise a parlare con uno dei due che stavano dietro al bancone, dicendo: “Mi ricordo ancora quando i liquori venivano prodotti qui… voi siete troppo giovani per ricordarlo, ma pensate, un tempo al bar servivano i frati!” Al povero fraticello dietro al banco ce ne volle del bello e del buono per tentare di convincerlo che la distilleria e il bar sono ancora gestiti dai frati, e che lui stesso era un frate! Non è nemmeno dato di sapere se il distinto signore che in fretta e furia si allontanò borbottando qualcosa, rimanesse persuaso di sapere che i frati vivono (ancora) del loro lavoro.

Lavoro manuale dei frati e partecipazione alle sorti dell’umanità
Della questione se n’è occupato addirittura l’ultimo capitolo generale dei Servi di Maria, celebrato nel 2019, attraverso un apposito decreto che riprende le decisioni capitolari precedenti: «Il capitolo generale ribadisce che Monte Senario è significativo per tutto l’Ordine in quanto tappa dell’itinerario spirituale dei nostri Sette Primi Padri e luogo dove riposano le loro spoglie. Essendo di grande importanza per tutto l’Ordine, auspica che la comunità continui ad essere internazionale e interculturale». Quindi prosegue: «Il capitolo generale, per garantire una dignitosa vita alla comunità di Monte Senario e per un’autosufficienza economica, oltre all’impegno delle attività pastorali, decide che le attività produttive e commerciali continuino ad essere gestite e svolte dai nostri frati. Tale impegno permetterà di generare anche in futuro proventi derivanti dal lavoro dei frati, come generazioni e generazioni di nostri fratelli ci hanno testimoniato».
Del resto questo è lo stile e fa parte della storia dei Servi di santa Maria, come recitano le Costituzioni dell’Ordine: «Il lavoro, la comunione dei beni e il modesto tenore di vita costituiscono la testimonianza di povertà, volontariamente assunta dalle comunità dei Servi. Con il lavoro quotidiano, partecipiamo alla sorte di tutti gli uomini, collaboriamo all’attività creatrice del Padre, e ci associamo all’opera redentrice di Cristo» (art. 57). Quindi si prosegue: «Ognuno di noi viva nella consapevolezza che il pane quotidiano, come è dono della Provvidenza, così deve essere frutto del proprio lavoro» (art. 59). E in un altro passaggio del testo costituzionale si dice ancor più esplicitamente: «Il lavoro manuale è un elemento integrante della formazione e contribuisce all’equilibrio della persona. Il frate scopra in esso una manifestazione pratica di amore verso i fratelli, un mezzo per vivere la povertà, un aiuto per comprendere le condizioni di vita della maggior parte degli uomini».

Antica etichetta della Gemma d’Abeto, quando ancora si credeva che i liquori fossero dei medicinali: se ne prescriveva l’assunzione tre volte al giorno, a digiuno

Un premio alla comunità e non solo
Ma si sa, i luoghi comuni sono duri da sfatare. Specialmente quando si tratta di un prodotto che volutamente è avvolto da un alone di mistero per la sua ricetta gelosamente tenuta segreta. Da sempre si rincorrono le voci: “I frati non portano più avanti loro le attività di Monte Senario”, “La Gemma non la fanno più i frati”, “La Gemma non è più quella di una volta!”. A tale proposito interessante quanto già cinquanta anni or sono scriveva in un suo appunto fra Filippo Maria Grigioni, allora responsabile della distilleria: «A chi si ostinasse a dire che “la Gemma non è più quella di prima”, basterebbe trarlo a fare il ragionamento più ovvio che, cioè, non è il sapore o l’odore di una cosa che cambia, ma è la ricettività dei sensi che con l’andare degli anni si trasforma e si deforma anche, fino a far appetire ciò che prima ripugnava, o ad aver nausea di ciò che prima era gustoso».
Oggi si parla di “patrimonio immateriale dell’umanità” quando ci si riferisce anche a questi prodotti che sono entrati a far parte delle tradizioni dei popoli, conservandosi intatte nel tempo. Il prestigioso premio conferito nella serata del 29 settembre scorso dall’Accademia Italiana della Cucina – fortemente patrocinato dalla Delegata per il Mugello Monica Sforzini e che si aggiunge a quelli ottenuti nel passato – è un riconoscimento a tutta la comunità per la costanza e l’amore con la quale porta avanti la produzione di una liquore entrato a far parte della nostra cultura e della nostra tradizione (articolo qui). Il premio non è solo per fra Giovan Battista Maria Pesci, che oggi è chiamato materialmente a produrre i liquori, e nemmeno solo per chi lo ha preceduto nell’ufficio di “speziale” del convento. Il premio è anche per chi nel convento svolge i servizi più umili, siano essi frati o amici laici, perché tutti concorrono al risultato finale.
La produzione della Gemma e degli altri liquori crea anche un piccolo indotto nel Mugello e nel territorio fiorentino e toscano, basti pensare ai produttori delle materie prime, alla vetreria che realizza le caratteristiche bottiglie stampigliate con il logo del convento, o all’antica tipografia Mazzocchi di Borgo San Lorenzo che provvede a stampare le eleganti etichette in stile neogotico. Anche a loro va il premio e tutto il nostro riconoscimento per la produzione dei liquori di Monte Senario, lo “spirito del nostro Ordine”.

fra Stefano M. Viliani
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 2 ottobre 2022

Andrea Pelosi
Author: Andrea Pelosi

2 commenti
  1. Romano Tronconi
    Romano Tronconi dice:

    Io una o due volte all’anno, da molti anni ormai, faccio una scorta di 15/20 bottiglie di Gemma d’Abeto, che utilizzo per consumo personale o della mia famiglia, e per fare regali ad amici e parenti, che non hanno la possibilità di procurarsela. L’ho perfino regalata in Svizzera. E tutti la apprezzano moltissimo da bere, da mettere nel gelato, nelle fragole e nel caffè. W la Gemma d’Abeto, w i frati che la producono.

    Rispondi
  2. Elisabetta Sostegni
    Elisabetta Sostegni dice:

    L”Alchermes prodotto dal Convento non ha eguali! Mi piace sia come liquore che come bagna per la zuppa inglese. In casa mia non può mancare. Ne vado ghiotta fin da piccola.

    Rispondi

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *